Frenetici cinguettii scandiscono il rumore di fondo della città.
Seduto sul pavimento di piastrelle bianche del mio balcone preferito, quello che si affaccia sul mio piccolo giardino i cui alberi, ora fioriti in colori scintillanti, coprono quasi per intero il panorama della città, mi lascio scivolare il tempo addosso.
Crucciato, tento vanametne di collegare i pensieri alla penna che scrive svogliata sul foglio.
Una macchina lascia la sua scia rumorosa, e un'altra la segue. Il rombo di un'altra ancora sovrasta quello delle precedenti.
Isolato, l'ululato straziante e prolungato di un cane tiene compagnia alla mia solitudine. La sua sembra essere una richiesta di aiuto. Dovessi imitarlo dovrei fare un grido che andrebbe a squarciarmi la gola prolungandolo sino a quando non cominci a bruciarmi il petto, o sino a quando non abbia espulso tutta l'aria dai miei polmoni, tenendo la nota flebilmente sino alla fine. Tossisco; lascio che gli spasmi della mancanza di respiro mi contorcano il corpo quel tanto che basta da farmi lacrimare.
Bestemmio perchè mi vergognerei a fare una cosa del genere: la paura di farmi sentire, e riconoscere, prenderebbe il sopravvento. Ho paura evidentemente di essere preso per pazzo. Non perchè in realtà non lo sia, oltretutto elogio la follia, ma perchè quando la società ti etichetta in questo modo, più ti dimeni più peggiori la situazione. Voglio mantenere questa pseudo-libertà che ho, anche se ora la sfrutto male, nella speranza di giorni migliori e di voglia.
Arrivo alla conclusione però che per quanto forte possa urlare, nessuno mi sentirebbe.
Il mio fragore verrebbe nascosto dai rumori di fondo delle vite della gente, con indifferenza.
Apparirebbe ovattato come quando, tornando da una festa con musica ad alto volume, o da un concerto, o da una discoteca, le orecchie, maltrattate, fischiano manifestando il loro dolore e non riescono a sentire nitidamente il mondo esterno se non accompagnandolo con quella litania fastidiosa e durevole.
Ai miei cosiddetti amici invece, o ai miei conoscenti, quello che uscirebbe dalla mia bocca sarebbe udibile tanto quanto quel grido dipinto dal Munch: il volto, straziato, si perderebbe in un vortice che lo risucchia nel baratro senza che nessuno possa notarlo a meno che non smetta di voltargli le spalle.
Per ora ripongo la mia speranza di riscatto in una persona meravigliosa che ho avuto la fortuna di incontrare in questo periodo oscuro. Mi ha dato fiducia e mi auguro di poter contare su di lei e di poter fare in modo che possa contare su di me.
Nel frattempo cerco disperatamente di infondermi utili dosi di autostima per tornare a godermi la vita.
Accendo una sigaretta. Sbuffo verso il cielo.
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